Da un libro di ricette calabresi ho tratto questa ricetta della cucina poverissima proveniente da tempi di miseria nera, quando si utilizzavano tanti tipi di scarti. D'estate, quando c'èra abbondanza di cocomeri e meloni, non si buttavano via le bucce, ma le donne del popolo toglievano la parte bianca la dividevano in due e la mettevano al sole a seccare, appese a cavallo di una cordicella tesa. Quando erano ben secche e accartocciate, le conservavano in cesti di vimini o sacchetti di tela, e restavano lì fino all'inverno. Quando non c'era niente da mangiare si mettevano a mollo in acqua per qualche ora, si lessavano e si friggevano dopo averle infarinate,oppure ci si faceva una minestra con aglio, olio, peperoncino e alloro. Si chiamavano 'ncille.
E che dire dell'acquacotta, la minestra più povera che ci sia (la facevano i butteri della Maremma): acqua bollita, erbe di campo, una fetta di pane, olio, e quando andava bene un uovo...
Eppure la cucina poverissima non si ritrova solo nei tempi passati, un esempio e' la ricerca effettuata da Eleni Nikolaidou che, durante il dottorato in Storia dell'economia ha ricostruito la vita dei greci durante l'occupazione tedesca e ha scritto un manuale per riportare in vita consigli per ricette da utilizzare nei tempi grami uguali a quelli che sta passando attualmente il suo paese: come raccogliere e conservare le briciole di pane, come cucinare il risotto con la melanzana grattugiata (sembra ragu' di carne) e altri piatti da uno o due euro con gli ingredienti piu' semplici della cucina greca: i pomodori, le bucce dell'uvetta come dolcificante, le erbe selvatiche.
Speriamo che in Italia non si arrivi a tanto..
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